Bambini: il lungo viaggio verso l'indipendenza
Avete presente “Ricomincio da capo” (o come lo ricordo io “il giorno della marmotta”)? quel film, deliziosamente anni ‘90 in cui Bill Murray, per uno scherzo del destino vive continuamente la stessa giornata? Succedono sempre le stesse cose, ancora, ancora e ancora finché, nel rassicurante lieto fine riesce a spezzare il circolo vizioso e si risveglia nel domani.
Ecco. Io da quando sono diventata mamma (e ancora di più da quando mia figlia è entrata in questa meravigliosa età della latenza), mi sento imprigionata in un loop senza fine. Con un’unica differenza però: le giornate cambiano (purtroppo, altrimenti sarei ancora in estate e devo dire che non mi dispiacerebbe per nulla), ma io ripeto sempre le stesse cose. Di continuo. Come un disco rotto.
Ripenso a mia mamma che mi ripeteva continuamente “butta in bagno le cose sporche” e io che mi ostinavo ad abbandonarle in camera. La stimo. Per aver resistito alla tentazione di darsi alla macchia e ricrearsi una nuova identità da coltivatrice di patate in un eremo sperduto. Io non so se sarò altrettanto forte.
Le mie giornate iniziano con un “Gaia, mettiti le ciabatte.” Per proseguire poi con il “Gaia mettiti le scarpe” (passaggio che una volta ho dimenticato e mia figlia stava per andare a scuola con le sue ciabattine fuxia). Mentre il soggetto non cambia, posso vantare una discreta gamma di sfumature per quanto riguarda verbo e oggetto: “Gaia allacciati da giacca” “Gaia metti a posto i giocattoli” “Gaia lavati i denti” “Gaia devi mangiare, non chiacchierare” “Gaia stai seduta”. Tutta questa gamma di richieste vengono esposte diverse volte al giorno, in continuo con un tono di voce sempre più alto e sempre più alterato.
Si passa dalla richiesta “Gaia per favore, mettiti le ciabatte”, alla supplica “Gaia, mettiti quelle ciabatte, ti prego, sono stufa di sentirti tossire”, alla responsabilizzazione “Gaia sei grande, dai mettiti le ciabatte, lo senti che hai sempre la tosse” All’intimidazione “Gaia se non ti metti quelle ciabatte te le incollo ai piedi”, alla minaccia “Gaia se non ti metti le ciabatte la tosse non ti passerà mai più, devo portarti in ospedale e non vedrai mai più le tue amiche”.
Insomma, non ci vuole un genio per capire che la comunicazione tra me e lei è stata interrotta da qualche parte. Che, forse a causa di un bag generazionale, parliamo 2 lingue opposte, che rendono impossibile la comprensione. Secondo mio marito il problema è un altro: Gaia è la mia fotocopia. Ogni suo atteggiamento è lo specchio del mio. Io nel dubbio non lo ascolto.
Mi è di conforto però sapere di non essere l’unica. Parlando con altre mamme, scopro che tutti i bambini di quest’età, non ascoltano nulla (o meglio; sviluppano un udito particolarmente selettivo, non mi è mai capitato che la frase “volete guardare un po’ di cartoni animati” venisse accolta con un silenzio disinteressato), ma allora, che fare?
I bambini non hanno ancora sviluppato la capacità, tipica invece della persona adulta, di scindere le informazioni e trovare un giusto compromesso. Se una cosa non la vogliono fare, semplicemente non la fanno. Non riescono a comprendere i benefici che conseguono una data azione.
Per fare un esempio concreto: La mattina suona la sveglia.
Un adulto, anche se stanco, pensa simultaneamente “Non ho voglia di alzarmi, oggi non vado al lavoro” e “No il mio dovere è alzarmi subito, la sveglia ha suonato.” Una persona adulta media tra queste due considerazioni, arrivando a una serie di compromessi che possono essere “Mi alzo subito. Dormirò sabato” “Sto nel letto ancora 2 minuti e poi mi alzo” “Mi alzo e faccio una doccia. Così mi sveglio per bene”.
Un bambino non arriva ad elaborare questi pensieri. Un bambino pensa “Ho sonno. Dormo.”
Lo so. Non è esattamente rassicurante, me ne rendo conto. Ma solo la consapevolezza che quello che succede tutti i giorni a casa nostra è normale, fisiologico e soprattutto “condiviso” dovrebbe aiutarci a sentirci meno sole.
Io questa mattina, alla decima volta che ho detto a Gaia “mettiti quelle ciabatte”, ho pensato a tutte le altre mamme che in quello stesso momento stavano dicendo la stessa cosa, ho sorriso, e mi sono virtualmente data una pacca amichevole sulla spalla: “Forza ragazza, non sei la sola. Io ti capisco!”
Stefania D'Elia
Sono mamma di 2 bambini di 5 e 3 (quasi) anni. Sono stata per anni un’impiegata, poi un licenziamento e la mia vita è cambiata.
Ho scelto di cavalcare gli eventi e ho iniziato a scrivere; di me, di noi, delle mamme. Ho gestito per mesi un magazine on-line, ho un blog personale e scrivo articoli che parlano di donne e famiglia su www.trentoblog.it e ora sono alla ricerca di nuove sfide.